La prima metà del secolo scorso è stata caratterizzata da
due guerre mondiali che hanno portato a immense perdite di vite e una estrema
povertà con mancanza di cibo specialmente nelle città.
Gli abitanti di Gorfigliano non sono stati immuni da queste
catastrofi ma non hanno sofferto la fame grazie alle loro selve piene di
castagni secolari.
Bisogna ricordare che il territorio di Gorfigliano ha una
grande estensione comprendendo la diga del lago estendendosi fino ad Umbriano (
compresa Verrucolette che era un quartiere del paese, infatti il cimitero e sia
la Chiesa Vecchia che quella Nuova erano in comune) da qui La Monda fino ai
prati di Roggio continuando fino ai Vaglini e tutta la Valle ritornando alla
Chiesa Vecchia con tutta la sponda che guarda Gramolazzo.
I castagni erano alberi quasi sacri rispettati e accuditi
dato che da loro si riceveva quasi tutto per vivere.
Difficilmente questi alberi si ammalavano come avviene oggi
perché erano curati e se succedeva di vedere un ramo secco veniva subito
tagliato e nell’usanza del Paese non solo il padrone della selva poteva farlo
ma chiunque lo vedesse in modo che l’intervento fosse sempre immediato.
I castagni danno i loro frutti dalla metà di settembre a
fine ottobre.
Già alla fine di agosto le selve venivano pulite dalle
erbacce, dalle felci e dai piccoli rovi che si erano formati e al confine in
basso della selva veniva scavata una specie di fossa, LA RIESTA, che serviva a
fermare le castagne.
Al cadere delle prime castagne, il prete dall’altare BANDIVA
le selve, da quel momento nessun animale domestico poteva pascolare tra i
castagni fino alla fine della caduta.
Finita la BANDITA, normalmente dalla festa dei Santi, le
selve tornavano libere e tutti si potevano recare a raccogliere le castagne
rimaste anche nelle selve altrui.
Intorno alla fine di ottobre le castagne venivano introdotte
nella parte superiore dei METATI sopra i CANNICCI e veniva acceso il fuoco al
centro del pavimento.
Il fuoco rimaneva attivo giorno e notte fino a che le
castagne erano essiccate per essere BATTUTE, cosa che avveniva verso la fine di
dicembre.
Il fuoco, durante questo periodo, veniva spento per un
giorno verso la fine di novembre per consentire di rivoltare le castagne. Si spostavano alcuni cannicci in modo tale le
castagne precipitavano sul pavimento, quando tutte erano tutte al suolo si
riposizionavano i cannicci e con secchi e piccoli corbelli si raccattavano e si
rintroducevano nella parte superiore del metato, in questa maniera le castagne
che all’inizio della essiccatura erano sotto le altre adesso finivano sopra e
ciò consentiva una essiccatura uniforme.
I metati in paese erano numerosi, ad ogni angolo ce ne era
uno e dal momento che vi veniva acceso il fuoco divenivano luoghi di
aggregazione, la sera poi ci venivano fatte mondinate e alcuni anziani
raccontavano PASSATE quasi sempre con protagonisti streghe e maghi.
Nelle belle giornate autunnali nelle selve venivano radunate
le foglie di castagno e depositate in appositi capannelli e in capanne perché
sarebbero servite a fare il LETTO agli animali per poi trasformarsi in letame
per concimare campi e prati.
I bambini conoscevamo i castagni primaticci e alla prima
caduta delle castagne erano pronti a raccoglierle e a farci i primi BA(D)HUCCI.
Le castagne che non venivano essiccate erano conservate in
luoghi freschi negli angoli delle capanne ricoperte di foglie di castagno, in
tale maniera si conservavano fino all’inizio dell’estate e permettevano di fare
mondine per quasi tutto l’anno.
Mi ricordo benissimo a fine anni ’40 inizio ’50 che avevamo
sempre nella LADRA ba(d)hucci o mondine, non solo i bambini ma anche gli
adulti, che sgranacchiavamo anche per strada.
Dopo la PISTATURA delle castagne secche veniva fatta la
divisione, si sceglievano quelle belle monde e a parte si mettevano quelle con
troppa PECCHIA o difettose e i PISTURI.
Così era giunto il momento di portare le castagne al Molino,
quelle belle pulite servivano per fare la farina da CIACCIO per uso alimentare
della famiglia, quelle scartate con i pisturi venivano macinate per fare il
FARINACCIO per poi nutrirci gli animali domestici.
La macinatura non si pagava in denaro, ma il MULINA’
prendeva la MOLENDA cioè una piccola percentuale della farina.
La farina e il farinaccio venivano collocati negli SCRIGNI
di legno che normalmente le famiglie tenevano nella CAMBRETTA o nel CIGLIERO.
Lo scrigno era diviso all’interno in parti verticali e in
ogni vano venivano collocati i frutti dei campi e delle selve come il grano, il
FORMONTON, i fagioli e tutto quello che serviva durante l’anno per sfamarsi.
La farina e il farinaccio venivano pestati nello scrigno con
una specie di MESTON con testa larga fino a che risultavano duri come il legno,
questo serviva a non fare entrare insetti dentro specialmente le camole così si
preservava il tutto intatto.
Per prendere la farina dallo scrigno si usava un attrezzo
fatto a zappa con l’estremità tagliente, si tirava fuori a pezzi (BA(D)HOCCHI)
e si pestava.
Negli anni dopo la seconda Guerra Mondiale la maggior del
cibo proveniva dalla farina da ciaccio,
il mattino si faceva colazione con i TATINI (polenta un poco
più liquida di quella normale ricoperta di latte), a mezzogiorno polenta con
frittata, a merenda polenta arrostita al fuoco e a cena minestrone di fagioli.
Molte mamme, mi ricordo benissimo, svezzavano i figli con
piccoli pezzetti di polenta imbevuta nel latte e i bambini erano in perfetta
salute.
Con la farina poi si cucinava il CIACCIO ricoperto di noci e
rosmarino, o i CIACCI con i TESTI, riempiti, quando si poteva, con RICOTTO,
tutto sul fuoco del caminetto perché in casa c’era solo quello, non c’era il
gas e nemmeno le stufe a legna.
I bambini mangiavano i pezzi di ba(D)hocco come fossero
stati dolciumi e mi ricordo che nei coperchietti del Guttalin (lucido per
scarpe) pressavamo la farina per farci i CIACCINI che cuocevamo sotto la
cenere.
Dagli anni ’60 con il boom economico questo mondo è andato a
sparire, le selve sono state abbandonate e i castagni purtroppo stanno sparendo.
Giuliano
Orsi