giovedì 2 marzo 2017

Come eravamo a Gorfigliano – LE CAPRE di Giuliano Orsi

Fine anni ’40 inizio anni’50 l’Italia era uscita da poco dalla Seconda Guerra Mondiale che aveva lasciato devastazione, lutti e povertà.
Con volontà e speranza la gente reagiva e tentava di costruirsi un futuro migliore.
A Gorfigliano gli abitanti erano oramai abituati ad essere autosufficienti e in quegli anni erano più attivi del solito.
L’agricoltura e la pastorizia raggiunsero il massimo, tutto il Piano era coltivato intensamente, non c’era un metro di terreno incolto e quasi tutte le famiglie possedevano animali, in particolare capre.
I greggi, ma noi li chiamavamo Branchi, erano formati da capre di molti padroni.
Le zone dei Branchi erano praticamente quelle dei Rioni del Paese, Bagno, Pesciola, Novelli, Grotta, Rì, Culiceto.
Conoscevo bene quelle di Culiceto il cui Branco radunava le capre dai Canalini fino all’inizio della Ceppa.
Il mattino i proprietari aprivano gli usci delle stalle e le capre si radunavano presso la Croce, tra il Bar del Giustin e la Bottega del Poretto ( poi della Beata e dell’Ugo), da qui attraverso la strada, che allora era poco più di una mulattiera ( ci passava misurato un barroccio), delimitata da siepi di rovi (Pruni come li chiamiamo noi- uno spettacolo all’inizio della primavera con il candore dei loro fiori), per impedire al bestiame di andare nel seminato, venivano accompagnate fino a Sassapicia e lasciate libere.
Il branco si muoveva ad albero di Natale, in testa c’era la Capogruppo ed era sempre la stessa capra con dietro le altre in ordine come fossero militari, insomma tutte mantenevano sempre la loro posizione.
Nel bosco, dove si sparpagliavano senza allontanarsi troppo tra loro, era sempre la capogruppo che conduceva il branco ai pascoli migliori. Se qualcuna rimaneva indietro bastava un belato a cui quelle del branco rispondevano e tutto si ricomponeva.
Verso sera il Branco faceva ritorno da solo o accompagnato da qualche proprietario.
Arrivate in Paese ogni capra andava alla propria stalla dove veniva munta e accudita.
C’erano dei periodi in cui bisognava sempre seguire il Branco, come quando i Vaglini seminavano patate e fagioli al TopoRicco, perché se le capre si avvicinavano alle loro proprietà le sequestravano e si facevano pagare i danni, veri o presunti, per restituirle.
Bisognava poi fare attenzione al periodo delle castagne quando le selve venivano bandite.
Durante l’inverno, con la neve nei boschi, rimanevano nelle stalle e venivano alimentate con fieno e fraschi ( i fraschi erano fuscelli di rami di castagni o di faggi raccolti in primavera con foglie fresche seccate al sole) e anche con rape, farinaccio e semola.
Particolare delle capre che tutte avevano un nome ma normalmente maschile come Nino, Belviso, Faliero ecc. e questo perché il nome veniva dato da Capretin.
Nel Branco del Culiceto non c’era neanche un Becco, quando una capra veniva in calore, questo avveniva da settembre a novembre, la capra partiva e andava alla Pesciola dove il Leò che aveva un branco proprio e possedeva anche due Becchi il cui odore o puzzo in quel periodo si avvertiva a centinaia di metri.
I capretti venivano alla luce da febbraio ad aprile.
Il latte delle capre è stato per anni una manna dal cielo per quei tempi perché dava anche a chi aveva un solo capo la possibilità di avere formaggio e ricotta, infatti esisteva tra i proprietari quasi una cooperativa, il latte che non veniva consumato e non poteva essere conservato perchè non
c’erano frigoriferi, veniva allora prestato a turno, e a secondo della quantità, da uno all’altro per fare formaggio e ricotta.
Le siepi che costeggiavano la strada fino al ponte dell’Acqua Bianca che portava al Fornello furono abbattute nel 1958 per l’allargamento della strada come è oggi.
Ma i tempi stavano velocemente cambiando e già alla fine degli anni ’50 le esigenze non erano più le stesse e le capre, come altri animali domestici, stavano scomparendo.