giovedì 2 marzo 2017

"L'abbraccio delle Apuane" una storia vera

Le Apuane hanno il cuore d'oro, oro bianco, il marmo, e nel 1939 la popolazione di Gorfigliano e dei paesi limitrofi, viveva di questo. Il lavoro del cavatore era duro e pericoloso, a volte anche mal retribuito, ma insieme a un po' di agricoltura e di pastorizia offriva una vita semplice ma dignitosa.
Nell'aria, però, si avvertiva già un vento di guerra, fatto sta, che in quell'anno ci furono numerosi licenziamenti. I primi ad essere licenziati furono i "boccia". Fra questi ci fu anche un ragazzo di nome Fernando che non si perse d'animo e dopo aver svolto qualche lavoro mal pagato fuori paese, decise di arruolarsi volontario in marina, tanto ormai la guerra era scoppiata e prima o poi l'avrebbero chiamato.
Appena diciottenne fu mandato a La Spezia, poi a Pola dove fu istruito sulla nave scuola "Amerigo Vespucci". Ne uscì "nocchiere scelto" e subito imbarcato sul caccia torpediniere "Freccia". Partì in missione di guerra toccando porti molto importanti, ma ironia della sorte, mentre una sera il "Freccia" si trovava alla rada nel porto di Genova, ci fu un bombardamento sulla città. Anche il "Freccia" fu colpito e ci furono morti e feriti. Fernando rimase illeso ed insieme ad altri suoi compagni si dette da fare per portare a terra i feriti. In particolare un ferito grave che portò in spalla in cerca di soccorso nelle strade di Genova illuminate dai bengala, nell'inferno del bombardamento.
Il "Freccia" affondò e Fernando fu mandato a casa in attesa di essere richiamato e imbarcato su un'altra nave.
Ma il tempo passava e arrivò l' otto Settembre.
Anche nel piccolo paese di Gorfigliano fu il "patatrac".
C'erano fascisti, partigiani, tedeschi, e non si capiva più nulla. Una cosa era certa, che i tedeschi prendevano tutti gli uomini che trovavano. Fernando, insieme a due suoi amici, Domenico e Beppe, si nascondeva di giorno nelle selve ai "Ceregioli" e di notte ... una la passarono in una buca scavata sotto un mucchio di concime, poi si ricavarono un nascondiglio in un vecchio mulino.
Erano passati ormai diversi giorni e la fame si faceva sentire. La mamma di Domenico partì da casa prima dell'alba per portare loro dei viveri, ma fu seguita e i ragazzi catturati ed insieme a tanti altri gli fu ordinato di prendere la strada che portava a Camporgiano dove erano le carceri. Arrivati in località "Groppine" un tedesco li fece fermare nel bosco per costruire una portantina con dei rami di castagno, e dopo esserci salito sopra ordinò di portarla. Ma uno di quegli uomini, Dante, si girò adirato verso il tedesco e in dialetto gorfiglianese gli disse: "Ammazmo puro, ma i no t' porto" (uccidimi pure, ma io non ti porto). Il tedesco, vedendo tanta determinazione, lasciò perdere. Arrivati a Camporgiano furono sbattuti nelle prigioni insieme a tanti altri uomini dal volto scavato dalla fame, dagli stenti, sporchi, pieni di pulci e di pidocchi. Le mamme e le fidanzate, per giorni, fecero a piedi la strada da Gorfigliano a Camporgiano sfidando tanti pericoli, solo per portare loro dei "ciacci" e una "smagliata pulita". Fu così che un giorno furono caricati su dei camion e portati via. Dove erano diretti? Nessuno poteva saperlo.
Fernando mi ha raccontato che gli fecero girare tutta l'Italia e che gli era rimasto in mente in particolare la visita del Duomo di Milano. Fu poi la volta di Vercelli, dove li fecero vestire da Alpini; poi Genova ed una località detta "Monte Contessa". La sera avevano un po' di libera uscita e fu così che in un piccolo bar, gestito da una bella ragazza di nome "Lilli", fecero amicizia con dei ragazzi, che dopo aver parlottato un po' con "Lilli", bevevano un caffè in fretta e se ne andavano subito.
Lilli faceva ai "nostri" tante domande e Fernando, Domenico e Beppe, che ormai erano inseparabili, non sapevano cosa pensare, fino a che una sera Lilli disse loro che i ragazzi che avevano conosciuto erano partigiani e se volevano fuggire dai tedeschi li avrebbe aiutati. I "tre" avvisarono anche gli altri e nel bar di Lilli fecero un piano ed una notte fuggirono.
La vita da partigiani non fu facile, fra guerriglie, fame, sete, freddo, ma arrivò anche la fine della guerra e i tre amici, insieme a Sandro e un ragazzo di Roggio, presero la via del ritorno fra mille difficoltà, ma felici di aver scampato la guerra e di essere in Italia.
Le strade ancora percorribili erano piene di vecchi camion militari strapieni di uomini che come loro cercavano, in qualche modo, di tornare a casa. Ne fermarono uno, chiedendo all'autista dove fosse diretto. "A Massa", gli fu risposto. A Massa? Ma erano proprio fortunati!
Una volta arrivati a Massa sarebbero saliti su verso le Apuane dal Forno o da Resceto e arrivati in Piastra Marina in qualche ora sarebbero discesi verso Gorfigliano.
A Massa arrivarono fra mille difficoltà, stanchi e affamati. Furono accolti da una famiglia con gentilezza; furono dati loro degli abiti puliti e la padrona di casa gli fece un "tombolo" di polenta con il formaggio. Così rifocillati e pieni d'entusiasmo si rimisero in cammino. Su, su, in salita, fino in Piastra Marina; ancora qualche ora e sarebbero arrivati al paese. Ma le Apuane all'improvviso si coprirono di nuvole, incominciò a nevicare, arrivò la tormenta e Fernando, Domenico, Beppe, Sandro e il roggiese, non vedevano più a un passo. Sapevano che nelle vicinanze c'era il rifugio "Aronte", perché loro le Apuane le conoscevano bene, ma in quel frangente fu impossibile trovarlo. Così si rifugiarono in una grotta, dove l'Estate andavano al fresco le pecore.
Giunse la notte, fuori della grotta era il finimondo; la neve si alzava quasi a coprire l'imboccatura della grotta e il vento urlava fra i crepacci.
I quattro, anzi 5 con il roggese, si sedettero sullo sterco secco di pecora tenendosi abbracciati per riscaldarsi, ma la notte era lunga, i piedi facevano male per il freddo e subentrò lo sgomento.
No, non potevano morire così, a guerra finita sulle loro Apuane che amavano tanto.
Uno di loro iniziò a "comandare" il rosario alla Madonna e gli altri rispondevano, così a turno fino a che, quella terribile notte, finì.
Arrivò l'alba, il vento spazzò via le nubi all'improvviso, proprio così come erano apparse.
Le Apuane si mostrarono in tutta la loro bellezza, il sole le tingeva di rosa e la neve brillava. Di lassù si scorgeva, lontano, ma non troppo, nella sua magnifica "conca", Gorfigliano.
I ragazzi iniziarono la discesa con la neve che toccava sopra il ginocchio, e nel giro di qualche ora arrivarono al paese.
Fernando, passò davanti alla casa della sua fidanzata, la porta era socchiusa, l'aprì lentamente senza farsi sentire. Lei, era accoccolata vicino al fuoco a friggere della polenta, avvertì una presenza, si girò lentamente e fu... come un film.
Era il 3 Maggio 1945.
Fernando fu richiamato in marina, dove rimase per sei mesi sulla nave "Panigaglia", poteva far carriera, ma preferì tornare a fare il cavatore ai piedi delle "sue" Apuane che non lo avevano tradito; tutti gli anni, i quattro amici per la pelle (fino a che è stato possibile), salivano lassù, in Piastra Marina proprio il 3 Maggio, per recitare un rosario nella grotta che in quella brutta notte, aveva custodito nel suo abbraccio le loro giovani vite.



Fernando era mio padre (I Fernà d'l Carara).
Sandro, il padre di Mariano (I Sandroun d'l Burghini)
Beppe, detto il Beppe della Palmì
Domenico, detto da S.Antonio (I Domei)

Storia vera, scritta da
Maria Assunta Torre