giovedì 4 febbraio 2016

Storia degli Hammers (Prima parte)

L'articolo riportato di seguito è stato preso dal Blog West Ham United Italia Station 936

“Se sei stanco di Londra, sei stanco di vivere!”. Così si dice nella capitale inglese e come dar loro torto? Calcisticamente parlando, è impossibile annoiarsi, potendo scegliere tra ben 13 squadreprofessioniste (Arsenal, Tottenham, Chelsea, Millwall, Crystal Palace, Queens Park Rangers, Leyton Orient, Brentford, Fulham, Charlton Athletic, Barnet, Watford e West Ham United) e numerose altre dilettantistiche, ma dal discreto seguito di tifosi, come Dagenham & Redbridge, Dulwich Hamlet o il nuovo Wimbledon AFC. Il West Ham, nonostante un palmarès modesto, è certamente una delle squadre con più simpatizzanti tra gli appassionati di calcio internazionale, anche in Italia, e non solo per il fatto che Di Canio vi ha giocato dal ’98 al 2003. Il club venne fondato nel 1895 come Thames Iron Works FC, per poi cambiare denominazione nel 1900. Da 105 anni è conosciuto come West Ham United Football Club (WHUFC), squadra dell’East End, zona popolare della parte orientale di Londra. I colori sociali sono claret & blue, mentre il simbolo raffigura due martelli (hammers) incrociati. Negli ultimi anni, al logo è stato aggiunto il disegno del Boleyn Castle, che sta giusto dietro lo stadio, il quale per questo si chiama anche Boleyn Ground (ma è meglio conosciuto come Upton Park, capienza 36.000 spettatori). La divisione di Londra in grandi zone (simili a minicittà nella maximetropoli) connota fortemente la suddivisione calcistica del territorio, così che le squadre si indentificano come rappresentanti del proprio quartiere di appartenenza, più che della capitale nel suo complesso. Il West Ham è la squadra della parte abitata dalla working class ed i suoi vicini sono il Tottenham a nord e il Millwall a sud, oltre il Tamigi. Tradizionalmente, gli Hammers occupano la parte bassa della Premiership, categoria appena riconquistata dopo un anno in First Division. La sua storia, fino agli anni ’60, è senza gloria, con noiosissimi periodi in seconda divisione ed altri in prima, ma a vivacchiare nell’anonimato. Un momento storico è la finale di FA Cup del 1923, benchè persa col Bolton. La partita è passata alla storia come The White Horse Final, perchè i 200.000 spettatori accorsi a Wembley scavalcarono le recinzioni per poi straripare in campo e solo grazie al coraggio del poliziotto Storey, sul suo cavallo bianco, fu possibile giocare. Poi, un lungo periodo buio durato fino al ’64, quando il West Hann conquista il suo primo trofeo (la F.A. Cup), a cui fa seguito la vittoria della Coppa delle Coppe l’anno dopo. La squadra, finalmente competitiva, annovera nelle sue file anche tre futuri Campioni del Mondo del 1966: Martin Peters e Geoff Hurst (che di quella nazionale furono i goleador) e Bobby Moore, il mitico Capitano. Ci fu così tanto West Ham in quella squadra, che i tifosi degli “Irons” tuttora cantano: “I remember Wembley when West Ham beat West Germany…” (“Mi torna in mente Wembley, quando il West Ham battè la Germania Ovest”). Bobby Moore, il più grande Hammer nella storia, è deceduto nel ’93 e il club lo ricorda come il suo figlio prediletto con statua e targa. Gli anni ’60 sono quelli delle rivolte giovanili, di un’epoca che sta cambiando. Lo si vede soprattutto nel modo in cui i tifosi si approcciano al calcio: non più spettatori passivi, ma quasi attori principali dello spettacolo. E’ in fase di cambiamento anche il look: sta finendo il momento dei Mods e dei Rockers e, grazie al Commonwealth, arrivano in città numerosi emigranti da tutto l’ex Impero, in modo particolare giamaicani. Tra i giovani bianchi cockneys (londinesi) si diffonde la cultura carabica: il modo di vivere la strada, di essere Rude Boys ed anche la musica. I giovani operai inglesi ne sono entusiasti. Lo ska, il rocksteady e il primo reggae diventano passioni travolgenti e, contemporaneamente, nasce la sottocultura degli skinheads, che all’epoca erano apolitici in modo quasi assoluto. Il modo di vestire è ricercatissimo e innovativo: anfibi griffati Dr. Martens, jeans Levi’s Sta-Prest, Ben Sherman, polo Fred Perry. Questi giovani fanno gruppo velocemente nei quartieri, autodefinendosi “ne*ri bianchi” e sentendosi fieri di essere esponenti della classe operaia, oltre che appassionati di risse, calcio e boxe. Le palestre di puglilato londinesi però discriminano i ragazzi di colore, fino a quando la Lonsdale non inverte la tendenza. Le magliette col logo della palestra diventano quindi un must tra gli skinhead originali, recentemente imitati dai giovani di tutta Europa. Il calcio, invece, è aperto a tutti. La tifoseria del West Ham aggrega skins e immigrati, ma le teste rasate sono numerose anche nella Shed del Chelsea e nel Park Lane del Tottenham (tra gli Spurs c’è anche la particolarità di una forte presenza ebraica). I concerti di Laurel Aitken degli Skatalites e della ricca scena di gruppi giamaicani attirano sotto il palco i ragazzi della working class, che però il sabato si ritrovano vestiti di tutto punto negli stadi, a segnare il territorio del quartiere, a cacciare gli intrusi della curva opposta. Ogni club ha le sue bande di giovinastri aderenti alla nuova sottocultura, tutti orgogliosamente tifosi della propria squadra e dediti al take an end, cioè “conquista la curva avversaria”, ovviamente dopo feroci scazzottate con i legittimi proprietari. I tifosi dei West Ham sono tra i più tremendi, perché sfogano la propria rabbia sociale nel teppismo da stadio. In trasferta cementano alleanze fondamentali per non sopperire agli attacchi dei nemici. Le bande si uniscono, diventano più grosse e quindi anche più visibili e intercettabili dagli Old Bill (la polizia). In risposta alla repressione delle forze armate nascono i “Casuals”, caratterizzati da un look anonimo (perché volutamente privo di simboli della squadra), talvolta con elegantissimi abiti italiani firmati, ma estremamente scientifici nel pianificare gli scontri. Il gruppo allargato costituito dai tifosi del West Ham si chiama Inter City Firm (ICF), e, secondo alcuni, è più famoso della squadra stessa. Siamo alla fine degli anni ’70, il West Ham ha nel frattempo vinto un’altra F.A. Cup (’75), che sarà bissata da una terza a distanza di cinque anni. Il connubio tra calcio, musica e bande giovanili continua. Sono anni d’oro per la squadra, ma anche per il punk, che esplode a Londra nel ’77. I giovani dell’East End, però, lo considerano più un’operazione d’immagine che una manifestazione di vera rabbia proletaria e quindi ne creano una versione personale, chiamata Oi! (in londinese significa “Hey”). Le differenze stanno nel ritmo più lento e soprattutto in una filosofia distante dall’autodistruzione tanto in voga tra i gruppi più famosi (e, per questo, snobbati). La spinta ideale sta nel camminare a testa alta, da fieri figli della working class. I cori delle canzoni e quelli dello stadio si influenzano a vicenda. I gruppi più noti della scena Oi! si chiamano Sham 69, Angelic Upstart, 4Skins, Cock Sparrer, Business, Cockney Rejects ed hanno in comune la passione per il calcio. Proveniendo quasi tutti dall’East End Londinese, tifano in gran parte per il West Ham. Soprattutto i Cockney Rejects fanno della loro appartenenza al West Side (il settore “caldo” dello stadio) un segno distintivo, sottolineano la loro passione parlando in modo ricorrente della squadra nelle loro canzoni. La loro versione di “I’m forever blowing bubbles” (un coro del West Ham davvero famosissimo in Inghilterra, secondo solo a “You’ll never walk alone” del Liverpool) scala le classifiche di vendita. Altre canzoni, come “West Side Boys”, “We are the firm” e “War on the terraces”, sono segnali altrettanto chiari. Le esibizioni della band attirano tantissimi tifosi del club, anche in altri quartieri o in altre città, con conseguenti frequenti risse contro i rivali. Ad Upton Park l’idillio è totale: calcio, musica e stile di vita skinhead sono ormai tutt’uno.